Dieta Mediterranea

La dieta mediterranea è un modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari diffusi in alcuni paesi del bacino mediterraneo (come l’Italia e la Grecia) negli anni cinquanta del XX secolo.

Va precisato che i modelli di dieta mediterranea, generalmente sostenuti nell’ambito della comunità scientifica da un lato e dalla pubblica opinione dall’altro, ha connotazioni non del tutto sovrapponibili. La denominazione prende spunto in realtà dalla tipologia di consumi prevalente nell’area mediterranea, con particolare riferimento alla percentuale di grassi della dieta. Prodotti considerati emblematici della dieta mediterranea, come i pomodori, i fagioli, le zucche e gli zucchini, le patate, i peperoni e i meloni e tanti altri di origine meso-americana, non erano nel passato correntemente coltivati e consumati. Nella stessa Napoli, nella seconda metà dell’800, il pomodoro in conserva o fresco come condimento o in insalata era consumato solo nelle famiglie più ricche.

Conseguentemente, la dieta mediterranea oggi raccomandata, torna piuttosto a riallacciarsi alle regole di sobrietà che ispiravano il comportamento alimentare dell’antica cultura greco-romana. Questi principi, trovano la più originale espressione nel piccolo trattato Perì leptounouses diaìtes (“Riguardo alle diete per l’esilità”, oggi diremmo “dimagranti”) che Galeno scrisse fra il 170 e il 180 d.c. e che costituisce il primo “vademecum di sane abitudini alimentari”.

Rivolto a prevenire le malattie allora dominanti, Galeno suggeriva di preferire come normali alimenti di tutti i giorni i vegetali, soprattutto le erbe, fra cui largamente quelle aromatiche, consumandone anche i semi. Erano poi naturalmente consigliati i cereali (dal grano, all’orzo, all’avena, sottoforma di farinate miste ad erbe) e i legumi allora coltivati (cicerchie, lenticchie, ceci, fagiolini dell’occhio e, in minor misura, fave).

Tra i prodotti di origine animale, la preferenza era data ai pesci, in particolare ai piccoli pesci di scoglio. Mentre, tra le carni di animali terrestri, erano consentite quelle di animali magri come gli uccelli di montagna, il capretto piuttosto che l’agnello. Per il maiale, addirittura erano permesse solo le zampe, il muso e le orecchie, a patto che il consumatore “molta palestra frequenti e non a suo piacere se ne nutra”. Era infine sottolineato il valore dei frutti e del vino, mentre appare singolare il fatto che come condimento, specie delle verdure, fossero suggeriti l’aceto e la salsa di pesce piuttosto che l’olio. Ma per quest’ultimo è da considerare che il suo uso era anche destinato all’illuminazione.

Fatte le debite tare e considerate le ovvie differenze, risaltano le analogie con le presenti raccomandazioni, specificatamente per quanto riguarda la prevalenza dei cereali, l’importanza attribuita alla varietà di erbe, fra i cibi animali ai pesci, e fra i terrestri ai più poveri di grassi. Con trasparente rispondenza, dunque, alle regole dietetiche che nella cultura mediterranea puntualmente riemergono negli insegnamenti della scuola medica salernitana (i principi secondo la tradizione furono elaborati da 4 saggi: un arabo, un ebreo, un greco e un latino). Nel recuperare pertanto l’antico modello dietetico occorre più che altro utilizzare al meglio gli alimenti elaborati dalla cultura agroindustriale mediterranea e soprattutto italiana, collocandoli in un quadro generale di consumo rispondente alle indicazioni della comunità scientifica internazionale e nazionale preposte alle politiche dell’alimentazione e della nutrizione.